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18 agosto del 1534 a largo di Ostia le truppe del Califfo Solimano I° detto il Magnifico stazionavano in attesa dell’ordine supremo: attaccare Roma.
Al comando della flotta, il corsaro barbaresco Khareddin detto il Barbarossa e il suo braccio destro, un cristiano rinnegato, Aydin Rais denominato Cacciadiavolo.
Il Barbarossa tra il 1520 e il 1529, quindi per circa dieci anni, si mosse nel mediterraneo alla conquista dei principali porti costieri dell’Africa del nord per spingersi fino a Gibilterra, decidendo di stabilire la sua base strategica ad Algeri. All’epoca in quelle zone emigrarono molti mori dalla Spagna; in tutto ne furono espulsi circa 300.000/350.000.
Entro il 1526 l’Islam era stato bandito in tutta la Spagna, eppure molti moriscos continuavano in segreto a praticare la loro religione. Perlopiù, mantennero la loro identità culturale come popolo. All’inizio l’adesione meramente formale dei moriscos al cattolicesimo era tollerata. Dopotutto avevano un ruolo importante come artigiani e contadini e pagavano anche le tasse.
Eppure i moriscos cominciarono a essere odiati a causa del loro rifiuto di integrarsi e divennero oggetto di discriminazione sia da parte del governo che della gente comune. Con tutta probabilità tale pregiudizio era alimentato dalla Chiesa, che nutriva sospetti sempre più forti sulla sincerità della loro conversione.
Ben presto la tolleranza lasciò il posto alla coercizione. Nel 1567 venne emanato un decreto dal re Filippo II che vietava la lingua, l’abbigliamento e le tradizioni dei moriscos. Questo provvedimento fu nuovamente causa di ribellione e spargimento di sangue.
Secondo gli storici, i sovrani spagnoli si convinsero che “i moriscos non erano né buoni cristiani, né sudditi leali”. Per questa ragione furono accusati di cospirare insieme agli altri nemici della Spagna: i corsari berberi, i protestanti francesi e i turchi, di favorire un’invasione straniera.
Ma in tutta questa resa non mancarono episodi di rivalsa da parte della flotta del Barbarossa e del prode Cacciadiavolo ai danni della favolosa flotta ispanica. Il 28 ottobre 1529 tra i flutti di Formentera inflisse una sonora sconfitta alla flotta nemica. Solo una galea riuscì a mettersi in salvo, le altre sette navi furono catturate e rimorchiate nel porto di Algeri. Dove fecero bella mostra di se e certificarono la superiorità corsara che era riuscita a battere in uno scontro navale uno tra i più forti imperi del mondo.
L’orrenda sconfitta fece da eco al valore del corsaro Barbarossa che si diffuse sulla terra ferma per arrivare alla corte di Francia.
E qui partono alcuni paralleli che favoriscono riflessioni su accadimenti lontani che per come si sono svolti potrebbero somigliare a ciò che sta avvenendo.
Dopo la pace di Cambrai (firmata il 5 agosto 1529 nell’omonima località della Francia settentrionale che pose fine alla guerra della Lega di Cognac), Francesco I Re di Francia per contrastare l’imperatore asburgico nelle sue mire espansionistiche anche verso i balcani, cerco e trovo un’alleanza sottobanco con l’impero ottomano. L’ufficiosità del contratto favoriva concordate fughe di notizie da Istanbul per cui l’incertezza e l’instabilità in Europa regnava sovrana.
Giulio de’Medici – Papa Clemente VII alleato strategicamente con il Re di Francia in ragione di un bilanciamento con il potere asburgico non sentendosi del tutto sicuro e non fidandosi del suo alleato era comunque pronto a rifugiarsi ad Avignone.
Le truppe ottomane avrebbero dovuto sbarcare in puglia per poi risalire fino a Napoli senza colpo ferire facilitati dal popolo e dai baroni napoletani alleati dei francesi e ostili al Re di Spagna.
Francesco I impudente stratega, cinico tra i cinici, agli inizi di febbraio del 1532 invio una lettera al Papa che avrebbe dovuto leggere in concistoro. Nella missiva il Re si scusava di “non poter mettere a disposizione la sua flotta per la difesa delle coste italiane in caso di attacco dei mori” perché era impegnato a fronteggiare le iniziative del corsaro Khareddin detto il Barbarossa.
Il Barbarossa invece era a pieno titolo parte del contratto tra Francesco I Re di Francia e il Sultano dell’impero ottomano Solimano detto il Magnifico. Era comandante dell’offensiva contro la penisola italica nominato per il suo valore da Solimano, Grande Ammiraglio (kapudan pasha), nonché quarto pasha dell’impero ottomano, un’onorificenza tra le più prestigiose.
La disincantata Realpolitik di Francesco I era dettata da una serie di sconfitte e dalla sua mania di istintiva vendetta che nel tempo lo resero infido e torvo, in netto contrasto con l’immagine di luminoso re cavaliere di età giovanile dove trovava naturale un accostamento ai suoi illustri predecessori: Costantino, Carlo Magno e San Luigi IX.
Al corrente del progetto ottomano, fin nei minimi dettagli d’invasione dell’Italia, lo condivise e spinse su Solimano per dare la precedenza ad esso anziché indugiare sul fronte dei Balcani.
La fuga di notizie non cessò, e si diffusero le indiscrezioni per quello che venne definito già allora uno “spregiudicato maneggio”. L’opinione pubblica dell’epoca accolse la cosa non certo bene e l’immagine di Francesco I subì un tracollo verticale. Non se ne dette però troppo cura, affermando che la Penisola doveva essere conquistata non con il carisma ma con l’uso delle armi.
Intanto Carlo V d’Asburgo non stava di certo a guardare. Il Re di Spagna padrone di un impero che si estendeva su tre continenti dove per l’immensità dei territori “non tramontava mai il sole”, sottrasse al bilioso Francesco I, l’Ammiraglio Andrea Doria Signore di Genoa utile nelle strategie navali nel mediterraneo, con cui condivise che “ il progetto d’instaurazione di un ordine europeo cementato dalla religione e dalla lotta contro l’infedele“ aveva perso di senso.
E fu solo per mettere in serio imbarazzo il Re di Francia se fece girare l’idea di una nuova crociata.
Francia all’angolo, costretta ad aderire e a contribuire con uomini, mezzi e capitale all’ l’impresa anti ottomana avrebbe così vanificato l’accordo “segreto” con l’impero ottomano.
L’ accordo si raccontava fosse stato firmato e contro firmato e per quanto si sapesse si trovava nelle mani di Antonio Rincòn agente spagnolo passato dai servizi dell’imperatore a quelli del Re di Francia.
Solimano forte dell’alleanza con Francesco I attaccò i Balcani con 28 mila fanti e cinquecento cavalieri nel maggio del 1532. Successo dopo successo entro trionfante a Belgrado il 24 Giugno.
L’imperatore turco dopo quella importante conquista si aspettava una coraggiosa sortita dall’ambiguità da parte di Federico I. Si aspettava di essere affiancato nella vittoria, anche perché aveva sempre considerato il Re di Francia come “ un volenteroso collaboratore, appartenente al campo degli infedeli che, persuasosi dell’ineluttabilità del passaggio dell’Occidente alla vera fede, si prestava meritoriamente a favorirla”.
Francesco I non usci allo scoperto, si sottrasse alla ribalta della vittoria. Aveva comunque notato che dei due fronti da aprire soltanto uno quello dei Balcani, era stato rispettato. L’invasione della penisola italica programmata per l’estate del 1532 l’atteso attacco, non avvenne.
Un paio di scuole di pensiero, dove la prima narrà di dissidi e gelosie con alti dignitari della corte ottomana, che mal sopportavano privilegi ed elargizioni in titoli e ricchezze per il corsaro da parte dell’imperatore turco, dall’altra giravano voci che Andrea Doria avesse “avvicinato” il Barbarossa per conto di Carlo V d’Asburgo.
Solimano detto il Magnifico rimasto solo rinuncio all’affondo. Così il Re di Spagna il 23 Settembre del 1532 entro in una “Vienna esultante per la scampata sofferenza di un nuovo assedio”, Carlo V venne acclamato “quale campione della lotta dell’Europa cristiana contro i turchi” e gli fece assaporare uno “dei più inebrianti momenti di gloria della sua esistenza”.
Papa Clemente VII non fù propriamente entusiasta di quell’impresa, sempre preoccupato com’era del predominio incontrastato del Re di Spagna sui territori d’Europa. Per questo noncurante della cinica ambiguità dimostrata da Francesco I lo volle riabilitare agli occhi del mondo cristiano, concedendo in sposa sua nipote Caterina de’Medici,
al figlio secondogenito del re francese, Enrico duca d’Orleans, destinato a diventare sovrano con il nome di Enrico II.
Metà del seicento, ma per analogia ancora oggi: un’Europa che si vuole unita nella bandiera del cristianesimo ma irreversibilmente divisa negli interessi economici di campo, che non disdegna accordi con il “nemico”, dove l’unica ragione di contrasto non è la religione ma territori e popoli da conquistare e sottomettere a braccetto, mostrando i muscoli, vendendo armi.
Nell’Agosto del 1534 il Beylerbey (governatore) di Algeri mosse contro le coste meridionali d’Italia. Dopo l’assedio di Fondi Terracina e Sperlonga il 18 di Agosto Khareddin detto il Barbarossa ormeggiava a largo di Ostia in attesa di sferrare l’attacco a Roma.
Nel frattempo Federigo I°riabilitato dal Papa e incoraggiato dallo stesso ad agire nei modi a lui più consoni che ben conosceva, inizio un corteggiamento con relative sovvenzioni a favore dei principi protestanti in contrasto con l’imperatore Carlo V. Si spinse fino “ad inasprire” la spaccatura tra Roma e il Regno d’Inghilterra, avvenuta a seguito dello scioglimento del matrimonio tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona, tutto pur di provocare una spaccatura insanabile tra i tudor e gli Asburgo.
Barbarossa forte di 70 galee, 12 galeotte e 2000 uomini non attaccherà la citta del Papa. Si asterrà “nessun altro all’infuori del Sultano doveva avere l’onore di mettere le mani sulla città eterna e solo a lui spettava di decidere se porla a ferro e fuoco oppure risparmiarla in un eccesso di generosità”
A cura di Giacomo Marsella
Roma 0112 2015
Fonti:
Ernle Bradford – l’ammiraglio del sultano. Vita e imprese del corsaro barbarossa (mursia)
Marco Pellegrini – Guerra Santa contro i turchi (il mulino)
Marco Pellegrini – le crociate dopo le crociate (il mulino)
Giovanni Ricci – Appello al turco (viella)
Maurizio Pagliaro – Sallmann CarloV (bompiani)
Salvatore Bono – Corsari nel mediterraneo (mondadori)
Gastone Brescia – L’Arte della Guerriglia (il mulino)
Paolo Mieli – il Re complice dei jihadisti (corsera)